Lattuga e patate su Marte, così l'Italia progetta di coltivare nello Spazio - AboutPharma

2022-07-30 03:51:14 By : Mr. Tim Su

Se pensiamo con quanta rapidità la nostra vita è cambiata con l’evolversi della tecnologia negli ultimi trent’anni, non è azzardato pensare all’uomo come colonizzatore di altri mondi. I nuovi Cristoforo Colombo sono già lì che pensano ai vascelli diretti sulla Luna e su Marte. Tuttavia per spedizioni che possono durare anche anni, è necessario avere risorse per la sopravvivenza dell’equipaggio durante il tragitto. Su questo, numerosi team di ricerca internazionali, tra cui alcuni italiani, stanno lavorando per creare contesti ideali di produzione agricola in installazioni extraterrestri.

Le missioni spaziali dipenderanno sempre più dallo sviluppo di sistemi biorigenerativi (Blss) in grado di produrre in continuo risorse, come cibo, acqua e ossigeno. In questo contesto le piante superiori rappresentano un ottimo strumento per rigenerare l’aria mediante il processo di fotosintesi, purificare l’acqua e riciclare parte degli scarti fisiologici degli equipaggi, nonché produrre alimenti. Tutto ciò in condizioni di gravità simulata o microgravità.

“Sulla Terra le piante si sono evolute con la gravità e in presenza di uno schermo contro le radiazioni. Le strutture stesse delle piante sono tali grazie a queste condizioni specifiche: basti pensare all’affrancamento dall’acqua, alla ramificazione dei tessuti e alla capacità di crescere verticalmente”, spiega Stefania De Pascale, docente ordinario alla facoltà di Agraria e membro del team Unina dell’Università Federico II di Napoli, che dagli anni ‘90 studia questi fenomeni in collaborazione con l’Asi e l’Esa.

“Il fattore gravità sulla Iss non c’è. La ricerca lassù è sostanzialmente di base, ma grazie alla microgravità possiamo studiare una serie di tropismi che coinvolgono la crescita delle piante, insieme ad altri fattori come combustione, metabolismo umano e cristallizzazione. Un esempio ulteriore è dato dal fatto che le radici in assenza di gravità non hanno una direzione specifica a meno che non siano indotte”. La Nasa e l’Esa ci lavorano da tempo e l’Italia si è affiliata da una ventina d’anni attraverso dei progetti di collaborazione internazionale.

“È importante avere cibo fresco come lattughe, frutta o ravanelli”, continua De Pascale. “Stiamo operando su sistemi autonomi che producano colture a ciclo breve (come lattuga appunto e altra insalata). Prevediamo l’utilizzo di strutture simili a serre (per mantenere costante la temperatura) che potranno essere interrate o costruite direttamente sul suolo marziano composto di regolite.

La luce verrà raccolta da collettori artificiali. Abbiamo un progetto – continua l’esperta – con l’Asi per utilizzare il suolo marziano come substrato per coltivare le piante. Vero che le colture di riferimento saranno prodotti come la lattuga, ma ci sarà bisogno anche di carboidrati e proteine. Per questo stiamo pensando al frumento tenero e duro, al riso, alla soia e alla patata.

Uno dei progetti cui Stefania De Pascale fa riferimento è il programma Esa ”Melissa” (Micro-ecological life support system alternative) a cui il team Unina partecipa dal 2009 prima di diventarne partner ufficiale nel 2013. L’obiettivo del progetto è quello di realizzare un ecosistema artificiale basato su microrganismi e piante superiori per la rigenerazione delle risorse in missioni spaziali a lungo termine. Sono due gli step per selezionare i soggetti più adatti alla coltura idroponica (coltivazione fuori suolo). Il primo ha a che fare con lo sviluppo di una procedura teorica per l’identificazione preliminare di ”cultivar” candidate. Il secondo sulla valutazione del comportamento delle piante selezionate in un ambiente controllato.

A tal proposito nella sede universitaria di Portici (NA), il 4 novembre sarà inaugurato un laboratorio (costruito in Inghilterra e uno dei primi prototipi in Europa e uno dei pochi al mondo) ad ambiente controllato in vista dell’implementazione del centro definitivo di Barcellona. Infatti nel mondo esistono già strutture simili, ma sono poche.

Oltre alla già citata Hpc (Higher plant chamber) dell’Esa in Spagna, tra le più avanzate usate in passato e ancora in uso oggi ci sono Bios-3 all’Istituto di Biofisica di Krasnoyarsk in Russia, la Biomass production chamber della Nasa (operativa dal 1988 al 2000), la Japanese closed ecological experiment facility ad Aomori in Giappone e la Controlled environment system facility in Ontario, Canada. Sempre nel 2013 il gruppo ha lavorato anche a Faro (finanziamento per l’avvio di ricerca originale) ”Effects of ionizing radiation on tomato growth: food countermeasures to sustain human life in space”, finanziato dall’Universita di Napoli e dalla Fondazione San Paolo.

Protagoniste di questo lavoro sono state le piante di pomodoro nano. Lo scopo dell’esperimento era quello di valutare l’impatto delle radiazioni sulle colture e capirne i potenziali effetti negativi o positivi. In ultimo c’è anche il progetto Pac-Man (Plant characterization unit for closed life support system  – engineering, manufacturing and testing) avviato nel biennio 2018-2019. Il progetto si basa sulla necessità di misurare tutte le variabili necessarie alla modellizzazione del comportamento delle piante superiori all’interno di sistemi biorigenerativi.

Come in altri esperimenti, si parla di utilizzare strutture di controllo ambientale (Plant chamber unit, Pcu), per monitorare la crescita completamente sigillata della pianta in un contesto idroponico. La pianta viene irrigata con una soluzione nutritiva composta dall’acqua e dai composti, per lo più inorganici, necessari ad apportare tutti gli elementi indispensabili alla normale nutrizione minerale.

Il team Unina tra il 2016 e il 2017 ha portato avanti il progetto Esa “Procursor of food production unit” (la cui seconda fase terminerà nel 2020), per la realizzazione di un prototipo di un sistema modulare per la coltivazione di tuberi in microgravità destinato ai test sulla Iss. Quest’€anno è partito poi il progetto dell€Asi “Rebus – in situ resource bioutilization for life support system” coordinato dall€’Università di Napoli e che vedrà il proprio compimento nel 2021. Si sta sviluppando un Blss basato sull’uso di piante e microrganismi decompositori per massimizzare l’uso di risorse sul posto e il riciclo di materiale organico di scarto. Proprio come accennava De Pascale, l’idea e di usare il suolo lunare o marziano come terreno di coltivazione attraverso l’uso di ammendanti, fertilizzanti o biostimolanti per la produzione di vegetali freschi.

Tra il 1997 e il 2000 è stato lanciato un progetto dell’Agenzia spaziale italiana chiamato ”Morphological and physiological response of plant roots to a low-gravity environment”, seguito da ”Morphological and physiological response of seedling to a low-gravity environment” tra il 2001 e il 2002. Entrambi miravano a indagare gli effetti sulla microgravità indotta sulla crescita e sviluppo di piantine di fagiolo germinato su un clinostato rotante in coltivazione aeroponica. Tra il 2002 e il 2003 c’è stato il progetto ”Sgh – Space greenhouse”, ossia la creazione di una piccola serra spaziale come prototipo di modulo di coltivazione destinato alla Iss.

Nel 2007, sempre l’Asi ha poi programmato ”Cab-Controllo ambiente biorigenerativo” per uno studio di fattibilità di un Blss per le piante superiori per la produzione di cibo e ossigeno, la rimozione di anidride carbonica e la purificazione dell’acqua. Tra il 2004 e il 2006 e stato attivato ”Saysoy” dell’Esa che si è concentrato sulla costruzione di una piccola camera di crescita per germinare semi e crescere piantine su piattaforme spaziali senza equipaggio. In aggiunta si e studiato anche l’effetto della microgravità sulle piantine di soia.

Tag: innovazione / Nasa / sperimentazioni nello spazio /

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