Approfondimenti - Tasti bianchi e tasti neri - Mellotron e dintorni :: Gli Speciali di OndaRock

2022-06-25 05:24:09 By : Ms. Carol Chen

Quando, il 17 febbraio 1967, nei negozi approda il doppio singolo “Penny Lane/Strawberry Fields Forever”, buona parte del pubblico britannico ha il suo primo incontro con un suono mai ascoltato prima: è quello di un flauto, ma al tempo stesso non lo è - è più ovattato, più avvolgente, e soprattutto è polifonico. Gli accordi che aprono il secondo pezzo presentano al mondo il Mellotron, la tastiera che, in anticipo di quindici anni sui primi campionatori digitali, permette agli artisti pop di ricreare da soli i suoni di un’orchestra o di qualunque altra combinazione di strumenti. L'articolo che segue chiude una prima fase della rubrica "Tasti bianchi e tasti neri", quella dedicata ai suoni precedenti al sintetizzatore. Le cinque uscite pubblicate hanno provato a fare ordine fra vicende e segreti di alcune tastiere senza cui pop e rock non sarebbero stati gli stessi: oltre a questa, le altre sono dedicate a Hammond, organi elettronici, pianoforti elettrici, Clavinet. Sul Mellotron è già presente un ampio approfondimento, che traccia alcuni degli usi più significativi dello strumento attraverso una guida brano-per-brano. Rispetto alle altre pagine, dunque, l'impostazione di questo articolo sarà più narrativa. Come si vedrà, d'altronde, di storie da raccontare ce ne sono in abbondanza. Il peccato originale Le origini del Mellotron sono degne di una spy story. È l’inizio del 1962. Un rappresentante commerciale scompare dalla circolazione senza avvertire il suo datore di lavoro, l’inventore e costruttore di strumenti californiano Harry Chamberlin. Il nome del rappresentante, Bill Fransen, riappare più avanti nell’anno in un’inserzione su un periodico locale delle Midlands, accompagnato da un recapito britannico: Fransen desidera acquistare settanta testine per la riproduzione di nastri magnetici. Incuriositi dall’entità della richiesta, i fratelli Frank, Les e Norman Bradley - titolari dell’azienda di elettronica Bratmatic Ltd. - prendono contatto con Fransen, che spiega loro di essere giunto dagli Stati Uniti con due prototipi di una sua invenzione: uno strumento a tastiera che, riproducendo nastri preregistrati, può emulare il suono di un’orchestra o qualunque altro strumento. I fratelli non possono soddisfare direttamente le esigenze di Fransen (hanno brevettato un sistema per produrre testine di alta qualità, ma lo hanno appena venduto alla British Sound Reproduction), ma trovano lo strumento promettente e sono interessati ad apprortargli migliorie, produrlo, e lanciarlo sul mercato. Coinvolgono in qualità di finanziatori il conduttore Bbc Eric Robinson e il genero David Nixon, personaggio televisivo, dando vita alla nuova società Mellotronics, con sede a Streetly, nei pressi di Birmingham. Grazie alla fama mediatica, i due fanno anche da promoter per il nuovo strumento, che su consiglio di Fransen viene battezzato “Mellotron”. Ciò che i cinque inglesi ignorano è che le tastiere che hanno accompagnato Fransen oltre l’oceano non sono affatto prototipi di una sua invenzione: sono esemplari commerciali del Chamberlin 600, sesto modello dello strumento messo a punto da Harry Chamberlin a partire dal 1949, e disponibile agli acquirenti statunitensi dal 1956. Fransen ha debitamente provveduto a privarle del logo dell’azienda prima di mostrarle ai fratelli Bradley. Il raggiro funziona anche perché, nonostante siano in vendita da tempo, i dispositivi sono tutt’altro che ottimizzati dal punto di vista costruttivo: la qualità delle testine è scarsa e tutti i meccanismi interni sono ancorati al case di legno, che si flette coi cambiamenti di temperatura e umidità, rendendo del tutto inattendibile l’intonazione dello strumento. I Bradley aggiungono un’impalcatura interna e acquistano le loro testine da British Sound Reproduction: ora lo strumento è più solido, e la qualità audio superiore. Col supporto di Robinson, comproprietario degli Ibc Studios di Londra, ri-registrano tutti i nastri: a parte la singola voce “3 violins”, le sonorità Forties del Chamberlin suonavano troppo datate. Quando, nel 1963, iniziano la campagna pubblicitaria del Mellotron Mark I, sono convinti di avere un prodotto senza uguali sul mercato - cosa peraltro vera, sul piano della qualità, ma certamente non su quello dell’originalità. Solo nel 1965 la notizia del plagio raggiunge Harry Chamberlin, che in una fiera trova esposto un Mellotron Mark II. Il conseguente contenzioso legale coi Bradley si risolve in un accordo sorprendentemente amichevole: convintosi della buona fede dei fratelli, Chamberlin acconsente non solo al mantenimento sul mercato del Mellotron, ma anche alla possibilità (dietro pagamento di opportune royalties) di continuare a impiegare il suono “3 violins” registrato per il Chamberlin. Soprattutto, però, le due parti concordano una spartizione territoriale: in Gran Bretagna potrà essere venduto solo il Mellotron; negli Stati Uniti solo il Chamberlin. Sulla carta, Chamberlin si è aggiudicato la fetta più grande della torta, ma le limitazioni degli strumenti e le differenti evoluzioni delle due principali scene dell’anglosfera capovolgeranno l’esito che appariva inevitabile. La produzione dei Chamberlin si aggirerà, in trenta e rotti anni di attività, sul mezzo migliaio di unità: il più diffuso fra i modelli del Mellotron, l’M400, da solo sarà responsabile di almeno il triplo vendite. Il meccanismo di funzionamento di Mellotron e Chamberlin è analogo, e rende gli strumenti unici nel loro genere. A ogni tasto della tastiera corrisponde un nastro magnetico, una coppia di rulli e una testina per la riproduzione. La pressione del tasto porta la testina a contatto col nastro, messo in movimento dai rulli. Il segnale dalla testina è poi inviato a un circuito di amplificazione, che, connesso a un altoparlante, genera il suono. Il rilascio del tasto provoca il riavvolgimento del nastro, grazie a un meccanismo a molla. Nel corso degli anni, il numero e il formato dei nastri disponibili varierà sensibilmente; resterà tuttavia uguale la durata delle registrazioni impresse: otto secondi. Al termine di questi, la riproduzione cessa e dallo strumento non esce più alcun segnale. Sarà necessario cambiare nota, o, alternativamente, attendere il riavvolgimento per ribattere la stessa. La limitazione a otto secondi, con necessità di riavvolgimento, e la lentezza della risposta alla pressione e al rilascio dei tasti sono gli elementi che più impatteranno sulle scelte stilistiche dei musicisti. Sustain prolungati sono impossibili; passaggi rapidi anche. L’uso ideale di Mellotron e Chamberlin è allora la creazione di tappeti di sfondo, composti da blocchi di note persistenti, che sfumano le une nelle altre rendendo poco evidenti i vincoli tecnici della tastiera. Grazie soprattutto all’abbondanza, fra i nastri preregistrati, di timbri caldi e avvolgenti, il sound del Mellotron e del Chamberlin sarà antesignano di una categoria oggi onnipresente nel mondo dei sintetizzatori: il pad atmosferico, capace con la sua lenta evoluzione di dar forma al mood di interi generi musicali. Dal salotto al palco Un altro elemento che i primi Mellotron riprendono dai Chamberlin è la vocazione: quella di strumenti per principianti, rivolti prevalentemente a un uso domestico. I materiali promozionali diffusi poco dopo il lancio lo presentano come scelta ideale per i non-musicisti che vogliano stupire ospiti e conoscenti eseguendo con estrema facilità partiture dai suoni orchestrali. Il prezzo di vendita, 1.000 £ ovvero 20.000 € attuali suppergiù, ritaglia un mercato fatto di celebrità del jet-set e club per privati facoltosi: tra i primi acquirenti, la principessa Margaret, il Re di Giordania, l’attore Peter Sellers, il romanziere nonché creatore di Scientology Ron Hubbard. Sia il Mellotron Mark I (1963) che il successivo Mellotron Mark II (1964) presentano due tastiere da 35 tasti: quella sinistra è dedicata è divisa nelle sezioni “rhythm” e “fill” e consente di riprodurre pattern di percussioni e semplici giri strumentali preregistrati; quella destra (“lead section”) associa invece ai tasti singole note come su un’ordinaria tastiera, ed è impiegata per le parti solistiche. Ognuna delle due tastiere è abbinata a un banco di 35 nastri da 42 piedi (12,8 m) larghi 3/8 di pollice (9,5 mm); i nastri sono ripartiti, in lunghezza, in sei sezioni registrate separate da silenzi; in ciascuna sezione, tre tracce strumentali, “affiancate” da 1/8 di pollice l’una, corrispondono a tre distinte “voci” dello strumento. Un cursore permette di aumentare o diminuire la velocità di riproduzione dei nastri: alla velocità standard di 7,5 pollici al secondo, la durata di ciascun suono preregistrato è di poco superiore agli otto secondi; accelerando questa si riduce e la nota suonata sale d’altezza, rallentando la durata aumenta e la nota si fa più grave. Le voci sono selezionate da pulsanti del pannello frontale: l’azione dei sei che controllano la sezione utilizzata è lenta perché richiede il riavvolgimento del nastro; il passaggio da una all’altra delle tre voci di una stessa sezione è invece immediato. Quando lo strumento inizierà a prendere piede anche presso i musicisti professionisti, molti sostituiranno i banchi di accompagnamento della tastiera sinistra con altri banchi lead, per poter raddoppiare le voci solistiche disponibili simultaneamente. Il Mark II è sostanzialmente un upgrade del Mark I, che aggiunge un amplificatore a transistor, altoparlanti e un’unità di riverbero meccanica. È stato prodotto in circa 300 unità, ma è stimato che, dei circa cinquanta Mark I prodotti, quasi tutti siano tornati in fabbrica per ricevere l’aggiornamento a Mark II. Il suono del Mark II è quello dei più celebri utilizzi degli anni Sessanta e dei primi Settanta: Beatles, Rolling Stones, Moody Blues, Traffic, King Crimson, Genesis, Manfred Mann… A questi vanno aggiunti gli usi da parte della Bbc, che fa produrre a Bradmatic una sessantina di strumenti marcati “FX Console”, migliorati in fatto di qualità audio e impiegati per i rumori di scena delle trasmissioni radiofoniche. Nonostante la diffusione, l’uso dal vivo dello strumento resta alquanto sconveniente: il Mark II pesa circa 150 kg, è sensibilissimo a sbalzi di temperatura e di umidità, nel trasporto rischia costantemente di perdere l’allineamento dei nastri e l’accordatura. L’inaffidabilità live dello strumento diventa proverbiale, con band costrette a interrompere le esibizioni per decine di minuti in attesa che i tecnici rimettano in funzione il Mellotron essenziale per il sound dei brani. In questo quadro, un asso della manica lo possiedono i Moody Blues, il cui tastierista Mike Pinder, prima di fondare la band, ha lavorato per un anno e mezzo per Bradmatic/Mellotronics come collaudatore, e può vantare una conoscenza dello strumento inarrivabile per qualunque altro artista dell’epoca. Preso atto dell’interesse crescente da parte dei musicisti pop, i Bradley decidono di sviluppare modelli più adatti al nuovo target. Il primo è il Mellotron M300 (1968, 871 £), con una singola tastiera da 52 tasti (3 per suonare accordi diminuiti, 12 per i fill, 3 per i pattern ritmici, i restanti per le voci soliste), nastri da 1/4 di pollice e una massa di soli 113 kg. Anche i suoni disponibili ricevono un remaquillage: di tutti i modelli di Mellotron, l’M300 è l’unico a non presentare la classica voce “3 violins”, ma un suono d’archi più brillante che, a seconda del banco di nastri adottato, corrisponde a un singolo violino o a due violini all’unisono. Generalmente poco apprezzato, questo timbro è stato invece impiegato in abbondanza dai Barclay James Harvest, che anche dopo aver adottato il modello successivo continuano a portare sul palco anche l’M300 per ottenere il sound di “Mockingbird” e degli altri loro brani più iconici. L’M300 ha poco successo anche per la scarsa affidabilità delle sue testine magnetiche, e la produzione si arresta nel 1970 dopo grosso modo sessanta esemplari. Gli succede immediatamente l’M400, di gran lunga il modello più venduto, più impiegato e prodotto più a lungo. Concepito espressamente per l’uso dal vivo da parte di ensemble pop, l’M400 è decisamente più leggero dei predecessori (55 kg), sopporta meglio lo stress da trasporto e dispone di una sola tastiera da 35 tasti, interamente dedicata alle voci solistiche. Il nuovo modello non ha amplificatori e altoparlanti incorporati: nei contesti professionali, ciascun musicista preferirà impiegare i propri. Anziché pesanti banchi di nastri da 18 voci l’uno, inoltre, l’M400 prevede frame di nastri da 3/8 di pollice lunghi 6 piedi, con incise soltanto tre voci affiancate: la sostituzione dei frame richiede pochi minuti, ma di fatto molte band restano ancorate per praticità o per pigrizia a un singolo frame - il più diffuso è quello venduto insieme allo strumento, che comprende (nell’ordine) le voci “8 pc. choir”, “3 violins” e “flute”. Il passaggio da una voce all’altra avviene attraverso un selettore rotante a tre posizioni posto accanto alla tastiera. Il prezzo di lancio di 795 £ risulta molto più abbordabile rispetto al Mark I/II, e le vendite prendono il volo: tra il 1970 e il 1977, Streetly Electronics (nuovo marchio registrato dai Bradley) ne produce circa duemila esemplari! Altri modelli sfruttano il successo dell’M400, adattandolo a clienti più esigenti. Il 400FX va di nuovo incontro alle esigenze della Bbc ed è accompagnato da svariati frame di rumori ed effetti sonori; anche gli studi Emi si interessano allo strumento e realizzano una loro versione (Emi M400) su licenza dei Bradley. L’M400SM arriva nel 1973 e risolve un annoso problema dei precedenti modelli: quando i tasti premuti simultaneamente sono tanti, il motore che muove i nastri annaspa e la riproduzione risulta rallentata - con conseguente abbassamento dell’accordatura; introducendo un servomotore (da cui le lettere S e M del nome) che entra in azione solo sugli accordi estesi, il nuovo modello pone un argine al seccante difetto. Nel 1975 fa infine il suo debutto il Mellotron Mark V, di nuovo a due tastiere, stavolta dedicate da principio alle voci solistiche: nato, pare, su ispirazione di Rick Wakeman, il modello è prodotto in una trentina di esemplari, destinati presumibilmente ai nostalgici del Mark II. Suoni e stratagemmi Oltre a quelli di serie, Mellotronics/Streetly mette a disposizione decine di nastri, componibili in banchi e frame personalizzati per espandere la gamma sonora del proprio strumento. Il costo per un frame dell’M400 è 195 £. Alcune delle opzioni sono utilizzate molto di frequente, altre assai di rado: nella colonna a lato, un elenco di brani scelti per la presenza di questo o quell’altro suono permette di ascoltare sul campo i timbri più iconici e, per i più curiosi, anche qualche rarità. Non mancano aneddoti e trivia associati ai singoli suoni: in una nota del celebre “3 violins” si può sentire lo scricchiolio della sedia di un musicista; la voce “trombone”, talvolta utilizzata dai Moody Blues, è stata registrata da Mike Pinder in persona quando lavorava per Mellotronics; parte dell’ottava bassa della voce “violoncello” è in realtà un contrabbasso, perché il sessionman ingaggiato per l’incisione (Reginald Kirby, violoncellista anche in “Eleanor Rigby”) si rifiutò di abbassare eccessivamente l’accordatura dello strumento per timore di rovinarlo. Un’altra possibilità è quella di commissionare nastri coi propri suoni custom: inviando a Mellotronics/Streetly registrazioni in formato 1/4 di pollice, la ditta le riversa su nastri da 3/8 di pollice utilizzabili con Mark I/II e M400/Mark V (alternativamente, il tanto dileggiato M300 dà la possibilità di montare direttamente i propri nastri da 1/4 di pollice!). Alcuni di questi suoni personalizzati vengono negli anni successivi aggiunti al catalogo ufficiale: grazie a questa circostanza, conosciamo oggi non solo l’identità di qualche cliente del servizio, ma anche l’occasione dell’utilizzo. Mix particolari vengono ordinati da Patrick Moraz (ai tempi degli Yes), Frank Zappa, Split Enz. I Roxy Music inseriscono in un frame la parte orchestrale di “A Really Good Time”, per poterla riprodurre comodamente nei live. I Tangerine Dream fanno creare tre nastri di suoni del sintetizzatore monofonico Arp Pro Soloist, in modo da poterli utilizzare dal vivo in modo polifonico. L’impiego più curioso è forse però quello dello sperimentatore seriale Dick Hyman (già incontrato trattando di organi elettronici): lavorando a una colonna sonora per una trasmissione televisiva, compone una partitura per abbai, latrati e guaiti canini, assemblandone una scala cromatica di due ottave e mezza, incisa su nastro e debitamente spedita a Streetly per il riversamento in 3/8 di pollice. Il “Watcher Mix” commissionato dai Genesis ha dietro una storia più complessa. L’intro di “Watcher Of The Skies”, registrata nel 1972 sul Mellotron Mark II appartenuto precedentemente ai King Crimson, utilizza tre diverse voci contemporaneamente: sulla tastiera sinistra Tony Banks ha un “bass accordion”, su quella destra un mix delle voci “brass” e “3 violins”. La pulsantiera del Mark I/II, infatti, consente di selezionare anche una combinazione di due voci adiacenti, posizionando le testine a cavallo tra due tracce parallele del nastro magnetico. Quando, l’anno successivo, Banks passa al più affidabile M400, la possibilità rimane: ponendo il selettore rotante a metà strada tra due voci, si ricrea l’agognato mix. Le registrazioni “brass” e “3 violins”, tuttavia, risultano qui leggermente stonate l’una rispetto all’altra, producendo un suono decisamente lontano dalla grandeur necessaria al pezzo. Il tastierista contatta dunque Streetly e si fa realizzare un nastro su misura: sull’ottava bassa la fisarmonica per la mano sinistra, sulle restanti note il mix di “brass” e “3 violins” ri-registrato dal suo Mark II. Quello del mix tra due voci non è l’unico “trucco” adottato dai musicisti per allargare le possibilità dello strumento. Il vincolo degli otto secondi viene bypassato dai più esperti alzando e riabbassando una alla volta le dita coinvolte in un accordo, in modo da dar tempo al nastro di riavvolgersi mentre almeno due note continuano a vibrare (un esempio attestato è in “Can-Utility And The Coastliners” dei Genesis). La manopola per regolare l’accordatura, pensata per sopperire alla tendenza dello strumento a perdere l’intonazione, viene sfruttata da artisti come Moody Blues e Traffic per introdurre vistosi pitch bend nelle esecuzioni: eccolo in “Hole In My Shoe” a ridosso della parte parlata, o in “Legend Of A Mind”, nella sezione centrale. Portando il cursore al minimo, la velocità del nastro viene dimezzata, e l’altezza scende di un’ottava mentre il tempo di sustain raddoppia: il risultante timbro “half speed”, cupo e low-fi, sarà usatissimo da Mike Pinder dei Moody Blues (es. “My Song”) e frequente oggetto di imitazione, anche con appositi nastri custom. C’è anche chi si tuffa in un modding più selvaggio: Robert Webb dei progressivi England taglia in due un Mark II per conservarne una sola tastiera, e adatta i nastri dell’M400 al suo curioso “Halftron” effettuando a mano lo splicing delle voci “timpani”, “8 pc. choir” e “3 strings”. Tramonto e rinascita Il periodo d’oro del Mellotron sfuma già attorno alla metà degli anni Settanta. Nonostante i miglioramenti tecnici rispetto ai primi modelli, M400 e Mark V restano strumenti capricciosi: oltre alle già discusse inefficienze e limitazioni, un semplice calo di tensione - dovuto ad esempio all’accensione di un elettrodomestico nel vicinato - è in grado di mandare a carte e quarantotto l’accordatura. La vocazione originale come sostituto dell’orchestra non è mai stata presa troppo sul serio dai musicisti pop, interessati piuttosto alla particolarità dei timbri e alle potenzialità del Mellotron come pad ante litteram: la posizione monopolistica del Mellotron in questa gamma va però attenuandosi nel corso dei Seventies con l’introduzione prima degli string synthesizer, poi dei sintetizzatori polifonici propriamente detti, e infine dei campionatori digitali, inizialmente costosissimi ma via via sempre più a buon mercato. Sopravvissuto alle battaglie di retroguardia di alcuni sindacati di musicisti, contrari alle tastiere a nastri perché potenzialmente alternative all’uso di sessionmen, il Mellotron si avvia al tramonto commerciale proprio negli anni in cui la stampa di settore britannica fa da portabandiera all’irruenza del punk: il ruolo del movimento nel fare piazza pulita delle sonorità pseudo-sinfoniche è stato largamente esagerato dai media musicali, e almeno nel caso del Mellotron ha finito per nascondere la natura eminentemente tecnologica della contrazione del mercato. All’assottigliarsi della clientela si sommano le contingenze finanziarie: nel 1977, la bancarotta dell’importante debitore Dallas Arbiter (concessionario del Mellotron per gli Stati Uniti dopo il superamento dell’accordo con Chamberlin) mette ko anche Streetly Electronics, che è costretta a cedere materiali e diritti sul nome “Mellotron” a un’azienda del Connecticut, Sound Sales, fondata proprio da un ex-dipendente di Dallas Arbiter. I Bradley danno vita a una nuova società, Novatron, e continuano a produrre l’M400 e il Mark V, introducendo nel 1981 anche il T550 (identico all’M400 ma capace di convertirsi nel suo stesso baule da viaggio). Le vendite tuttavia non sono entusiasmanti, con forse qualche centinaio di M400 prodotti, e solo poche unità di Mark V e T550 (quattro e tre, rispettivamente). Nel 1986, Novatron chiude i battenti; nel frattempo, Sound Sales ha abbandonato la produzione del suo poco apprezzato Mellotron 4 Track, realizzato a partire dal 1981 in soli cinque esemplari. L’era del Mellotron si è infine conclusa. Ma è davvero così? Il Mellotron non scompare mai dal mercato secondario, e nei decenni successivi i prezzi non vanno a picco quanto quelli di altri cimeli musicali. Da metà anni Novanta, poi, complici il rock alternativo, il britpop e la riscossa new prog, gli ammiratori del Mello-sound tornano ad aumentare. Sample digitali dei nastri Mellotron iniziano a fare la loro comparsa nelle librerie utilizzate dai tastieristi, e la domanda per il reservicing di esemplari d’epoca è abbastanza alta da alimentare piccoli ma significativi business da una parte e dall’altra dell’oceano. David Kean e Markus Resch, negli Stati Uniti, acquistano i diritti per il nome Mellotron e offrono servizi di manutenzione e nuovi nastri; nel frattempo, in Gran Bretagna Martin Smith e John Bradley (figlio di Les) ridanno vita a Streetly Electronics, forniscono ricambi e risistemazioni complete dei gloriosi strumenti, e en passant producono nel 1993 la compilation “Rime Of The Ancient Sampler”, celebrazione del Mellotron realizzata coinvolgendo una ventina di Mellotroniani di ferro, tra maestri del periodo Seventies e nuovi appassionati. A fine anni Novanta, un Mellotron malmesso si acquista a qualche migliaio di sterline e si rivende, restaurato a dovere, a ottomila: i tempi sono maturi per il ritorno in produzione. Nel 1999, Kean e Resch annunciano l’entrata in commercio a 5200 $ del Mellotron Mark VI, seguito dal Mellotron Mark VII: fabbricati in Svezia, sono essenzialmente dei redesign di M400 e Mark V, con numerose migliorie tecniche messe al servizio del caro vecchio sound analogico. È del 2007, invece, l’M4000 di Streetly Electronics, che in un case molto simile all’M400 incorpora una tecnologia più simile a quella di Mark I/II e M300, offrendo agli appassionati frame da 3×8=24 voci diverse. Per 4.500 £ è vostro. A meno che non preferiate affidarvi agli emuli digitali, come il Memotron, prodotto dalla tedesca Manikin Electronic dal 2009, o i nuovi modelli introdotti da Kean e Resch dal 2010: Mellotron M4000D, M4000D Mini, Micro e Rack propongono a prezzi più accessibili una replica digitale dei suoni Mellotron e Chamberlin che, a detta dei costruttori e degli appassionati, non ha uguali sul mercato. Certo, si tratta comunque di strumenti da migliaia di euro: non sorprende dunque che molti, anche in ambito professionale, continuino a ricorrere a librerie di sample (le tastiere Nord offrono un vasto inventario di suoni gratuiti e lossless, concessi ufficialmente da Mellotron) ed emulatori Vst (Virtual Studio Technology). Quale che sia la fonte - strumenti d’epoca o moderne repliche analogiche, tastiere sample-based o plugin per digital audio workstation - il suono caldo del Mellotron è tornato oggi a pieno titolo un protagonista del panorama musicale. Niente male, per uno strumento che quarant’anni fa sembrava ormai irrimediabilmente aver fatto il suo tempo! Emuli e rivali E il Chamberlin? Per quanto non arrivi mai alle vendite del discendente, resta in produzione fino al 1981. La sua gamma timbrica è considerata, in generale, più fedele a quella degli strumenti che si proporrebbe di replicare: sulla carta si tratta di un pregio, ma confrontato al sound avvolgente e incorporeo del Mellotron, quello del Chamberlin viene percepito come poco incisivo. Benché ne sia stato realizzato al più un migliaio di unità, lo strumento viene acquistato da diversi studi musicali statunitensi, e figura in numerose registrazioni pop (spesso in modo non accreditato, vista la battaglia sindacale condotta contro i suoni preregistrati). Il modello di maggior diffusione è il Chamberlin M1, uscito nel 1970 circa in contemporanea al Mellotron M300: come il rivale d’oltreoceano, è un dispositivo relativamente compatto e trasportabile, dotato di una sola tastiera e otto voci per ciascun banco di nastri, combinabili stereofonicamente generando sei differenti mix stereofonici. Sulla scorta di Mellotron e Chamberlin, altri costruttori realizzano negli anni Settanta tastiere basate sulla riproduzione di suoni preregistrati. Alcune di esse, come l’Optigan di Mattel (1971-1973) e il Chilton Talentmaker (1973-1975) sono dispositivi a basso costo, destinati al mercato degli strumenti giocattolo; altri, come il Vako Orchestron (1974-1975) e il leggendario - ma mai davvero commercializzato - Birotron, hanno invece vocazioni professionali, e puntano a superare Mellotron e Chamberlin in versatilità e qualità sonora. I primi tre non sfruttano nastri magnetici ma dischi a lettura ottica. In fase di progettazione, Mattel è in cerca della tecnologia che possa comprimere al massimo i costi di produzione e la individua in solchi stampati su cellulosa e tradotti in segnale elettrico dalla combinazione di un fascio di luce e una fotocellula. Essendo circolari, il sustain delle tracce non ha limitazioni temporali come gli otto secondi di Mellotron e Chamberlin; per la stessa ragione, tuttavia, i suoni mancano dell’attacco e risultano dunque poco espressivi. Le vendite sono scarse, e ogni strumento prodotto costa a Mattel diritti per l’uso di brevetti depositati da Chamberlin: al momento della chiusura della produzione, le perdite associate al progetto ammontano a 13 milioni di dollari. Nei pochi anni in cui l’Optigan (crasi di OPTIcal e orGAN) resta in commercio, vengono comunque pubblicate decine di dischi contenti voci soliste unite a una varietà di accompagnamenti: si tratta di incisioni dalla bassa qualità audio, generalmente a tema (“Latin Fever”, “Guitar In 3/4 Time”, “Champagne Music”, …), oggi oggetto di collezionismo presso gli appassionati. Il graziosissimo sito Optigan.com ne ricostruisce un elenco. Mentre il Chilton Talentmaker è sostanzialmente un clone abusivo dell’Optigan (costruito dall’italiana GEM per un’azienda californiana, e presto ritirato dal mercato per le minacce legali di Mattel), l’Orchestron ne è una versione deluxe: struttura di legno anziché di plastica, suoni ad alta fedeltà, in alcuni modelli anche un sequencer e un sintetizzatore integrati. Anche il prezzo è sensibilmente diverso: 2-000 $ contro i 300 $ dell’Optigan. Non si impone mai sul mercato e la produzione si arresta senza raggiungere il centinaio di esemplari; è tuttavia utilizzato dagli Yes per il loro tour del 1976 e ha un ruolo prominente negli album “Radio-Activity” (1975), “Trans Europe Express” (1977) e “The Man-Machine” (1978) dei Kraftwerk. Più curiosa ancora la vicenda del Birotron, da qualcuno battezzato “lo strumento più raro del rock”. È l’ottobre del 1974 quando un giovane del Connecticut, David Biro, si presenta dopo un concerto a Rick Wakeman con uno strano strumento: è un prototipo di una nuova tastiera a nastri preregistrati, che a suo dire supererebbe molti dei limiti del Mellotron e dei suoi concorrenti. Invece che frame di nastri o dischi ottici, il “Birotron” monta cartucce magnetiche Stereo8, diciannove in tutto, una per ogni coppia dei suoi 37 tasti. Le cartucce, con otto voci strumentali ciascuna, riproducono un loop continuo e non prevedono tempi di riavvolgimento; la loro sostituzione, inoltre, è estremamente semplice e rapida. Wakeman è entusiasta. Non che ci volesse molto: la sua insofferenza verso i capricci del Mellotron è a metà anni Settanta ormai al colmo, e alimenterà per anni leggende su un presunto falò di M300 organizzato in un terreno di campagna. I due fondano una società, Birotronics, con sede in Inghilterra, e realizzano registrazioni di alta qualità coinvolgendo la London Symphony Orchestra. Assoldano validi ingegneri e promuovono il futuro strumento presso i musicisti, raccogliendo (pare) un migliaio di ordini anticipati: l’interesse per il progetto che promette “la tastiera del futuro” è, attorno al 1975, dilagante. Per sfruttare le potenzialità del loop infinito senza rinunciare alla riconoscibilità dell’attacco del suono, i tecnici dotano ciascuna nota di un generatore di inviluppo simile a quello impiegato nei sintetizzatori: alla pressione dei tasti, l’intensità del suono varia in modo da replicare la dinamica tipica dei singoli strumenti (ingresso rapido e percussivo per il piano, graduale per gli archi ecc.). Anche per le volontà perfezionistiche dei promotori, le spese di realizzazione lievitano e i tempi si dilatano. Nel 1977, il progetto è ancora nel pieno del development hell; in compenso, la rivoluzione informatica ha investito anche il mondo musicale con l’arrivo del primo campionatore digitale (il Computer Music Melodian, del 1976) e l’imminente rilascio del Prophet-5, il primo sintetizzatore polifonico a memoria programmabile. “Quando finalmente eravamo pronti a iniziare la produzione, un qualche bastardo ha inventato il chip e siamo stati spacciati”, è il modo colorito in cui Wakeman descriverà l’accaduto in un’intervista di qualche decennio successiva. Nel 1979 il progetto viene abbandonato: Wakeman perde 50.000 £ (più di 250.000 € attuali), Biro la casa. Tra prototipi, esemplari mai assemblati e prove fallite, sono esistiti al più trentacinque Birotron. Probabilmente i dispositivi completi non sono mai stati più di tredici: di cinque è sicura l’attuale esistenza; solo due sono certamente funzionanti. Dave Kean, proprietario del marchio Mellotron, ne ha utilizzato uno nella compilation “The Rime Of The Ancient Sampler”, ma è probabile che lo strumento oggi non funzioni più; un altro strumento, che giaceva nei magazzini di Streetly Electronics, è stato regalato da Kean e Les Bradley a Dave Biro negli anni Novanta. Tutti i nastri originali sono irrimediabilmente danneggiati, ma da anni il canadese Chris Dale sta portando avanti una complessa opera di ripristino e digitalizzazione dei mastertape, nella speranza di poter finalmente ridare allo strumento un suono perso da più di quarant’anni. I progressi nell’impresa possono essere seguiti dalla pagina Facebook del progetto. Gli utilizzi registrati del Birotron si contano sulle dita di poche mani: Yes (“Tormato” e “Yesshows”), Rick Wakeman solista (“Criminal Record”), Tangerine Dream (“Force Majeure” e “Hyperboarea”), i cosmici statunitensi Earthstar (“French Skyline”, “Atomkraft? Nein, Danke!”, “Humans Only”) e forse, ma in modo non accreditato, il loro produttore Klaus Schulze (“Mirage”). Oltre che nella compilation a tema Mellotron, il Birotron di Dave Kean compare anche nell’album “Wishbone” della songwriter Eleni Mandell, prodotto nel 1999 da due fissatissimi di tastiere vintage, Brian Kehew e Jon Brion (The Moog Cookbook, Air, Fiona Apple, Aimee Mann). Dove ascoltare questi strumenti? Innanzitutto nei moltissimi pezzi indicati dall’articolo di OndaRock che danno una prospettiva degli usi artistici di Mellotron e Chamberlin. Per chi poi volesse esercitarsi nel riconoscere questo o quell’altro suono, nella colonna a lato sono riportati alcuni brani in cui questa o quell'altra voce sono ben in evidenza, più una breve selezione di album recenti particolarmente densi di mellotronerie e simil-mellotronerie. Si tratta perlopiù di novelty record, costruiti sul sound dei rispettivi strumenti protagonisti, oppure di dischi post-revival che il preziosissimo sito Planet Mellotron descrive come “praticamente un demo record” delle tastiere interessate. Approfondimenti sulla storia del Birotron possono essere scoperti in una puntata dedicata allo strumento dal podcast “Yes Music Podcast”, mentre uno spassoso episodio di “In Loving Recollection” intervista il duo Optiganally Yours, combo californiano che ha fatto della riscoperta degli organi ottici la sua raison d'être (uno dei due musicisti è il creatore del sito Optigan.com). Buon ascolto!

Album : The Fiery Furnaces - Widow City (2007) Chamberlin Nanook Of The North - The Täby Tapes (2004) Mellotron M400, Chilton Talentmaker, Orchestron, Optigan Sparklehorse – It's A Wonderful Life (2001) Optigan, Orchestron, Chamberlin Fiona Apple - Tidal (1996) Chamberlin, Optigan AA.VV. - The Mellotron Album - Rime Of The Ancient Sampler (1993) Mellotron, Birotron, Chamberlin Optiganally Yours - Spotlight On Optiganally Yours (1997) Optigan, Exclusively Talentmaker (2000) Chilton Talentmaker John Medeski, Pat Sansone, Jonathan Kirkscey & Vending Machine - Mellotron Variations (2019) Mellotron