Il Gusto

2022-07-30 03:50:05 By : Ms. CIndy Liu

Quando si inserisce una realtà produttiva in una filiera, il cordone che porta dal produttore al consumatore si allunga. Banale, ma è il significato di filiera: sequenza di lavorazioni effettuate in successione al fine di trasformare le materie prime in un prodotto finito. Siamo abituati a pensarla per i prodotti agroalimentari, dal campo alla tavola. Meno inclini a pensare come filiera anche il delivery alimentare che tanto è entrato nelle nostre abitudini di consumo: ordinare, ricevere, consumare. Eppure lo è, si inanellato attori e interpreti funzionali e funzionanti, sui quali abbiamo voluto accendere i riflettori dell’attenzione con un’indagine che ha coinvolto, insieme a IlGusto e Comieco in collaborazione con l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.

Durante i lavori Pre-COP26 di Glasgow “All4Climate” in un dibattito organizzato da Comieco e UNISG di Pollenzo, l’attenzione sul tema dei contenitori è stata discussa ampiamente. “Il delivery è un’avventura interessante, considerata l’evoluzione impetuosa che ha avuto questa modalità di consumo - ha esordito Carlo Montalbetti, direttore generale di Comieco - L’obiettivo dei lavori è rendere operative una serie di azioni coordinate che vogliano contrastare gli effetti del cambiamento climatico".

Quali sono allora le attenzioni aggiuntive che dobbiamo porre nel sistema food delivery? L’interrogativo è stato sollevato a gran voce durante l’incontro. Contenitore e contenuto non sono contrapposti e nemmeno distinti, anzi in un delivery concorrono all’idoneo trasporto, alla giusta conservazione di tutti gli aspetti organolettici e a ricreare, in parte o del tutto, una parte di atmosfera che si vivrebbe nel ristorante da cui si è ordinato, sia per il piacere sia per comunicazione. Come specificato da Montalbetti il contenitore, o meglio detto packaging, serve “che sia di origine naturale e abbia quelle caratteristiche che possano essere costanti dal punto di vista della qualità del prodotto consegnato”, ma anche garantire la tenuta organolettica e di temperatura, un confezionamento efficiente ed efficace per il trasporto, digeribile nel sistema del corretto smaltimento e che comunichi in maniera chiara le indicazioni agli utenti finali. 

Non era una gara e non c’è nessun vincitore, lo scopo non era identificare chi potesse fregiarsi di un titolo. L’intenzione che ha mosso l’indagine era individuare le pratiche virtuose che possano essere raccontate ed essere fonte di ispirazione, cercare di valorizzare gli sforzi di comunicazione tesi a sottolineare la sostenibilità in tutti i suoi aspetti e stilare un vademecum (in una versione per i ristoratori e una per i consumatori) che dia chiare indicazioni sul corretto approccio a questo anello della filiera.

La prima e più evidente considerazione balzata agli occhi è che pochi dei quaranta testati nell’indagine hanno colto e sfruttato la potenzialità della superficie dei packaging per comunicare temi ambientali e valori aziendali; solo uno nel campione analizzato ha utilizzato carta riciclata per lo scontrino fiscale al posto della carta termica. In più di un’occasione erano uilizzati packaging disomogenei nei materiali e le indicazioni in merito erano spesso piccole e poco leggibili. Ma sopratutto ragionando in termini di sostenibiltà non si può pensare di essere inclusivi con i consumatori senza porsi magari il dubbio di come una persona ipovedente possa fare per capire, al di là del tatto, la tipologia di materiale usata nei packaging e dove gettarlo: una trasposizione in codice Braille aiuterebbe, e non poco.   Milano Fra i casi virtuosi che sono emersi a Milano, Temakinho è risultato di pregio con i suoi packaging primari compostabili e gli evidenti segni per la riduzione degli ingombri, le indicazioni per il corretto smaltimento, la presenza di divisori interni alle confezioni per separare le portate e anche le indicazioni utili per un eventuale riscaldamento delle pietanze. Diverso, ma non meno interessante, il caso di That’s Vapore che presentava alla consegna packaging primari misti ma facili da separare ; anche qui la riduzione degli ingombri è chiaramente indicata.

Da notare, e sottolineare con piacere, come questa realtà sia stata l’unica nel campione dei 40 sulle quattro città ad aver utilizzato carta riciclabile per la stampa dello scontrino fiscale; unica pecca è stato il rilievo di un over packaging, comunque dichiarato dagli stessi biodegradabile e compostabile. Ancora God save the Food presentava un packaging primario compostabile di cui era facile ridurre l’ingombro, senza però che fosse spiegato il come. Un racconto diverso per Empanadas de Flaco che ha ideato e formulato il packaging primario come bauletto in carta, al cui interno le empanadas risultavano avvolte in un foglio in carta su cui però era apposto un adesivo da eliminare prima dello smaltimento.

Torino Buone pratiche anche a Torino. Esempio virtuoso, indagato all’ombra della Mole ma che si potrebbe estendere alle città in cui è presente, è stato Pescaria con la busta in carta a prevalenza da fonti riciclate e certificata FSC ma appartenente alla società di delivery che ha effettuato la consegna, indice comunque di una politica aziendale attenta al tema. Packaging primario compostabile e personalizzato, facile da compattare nonostante non fosse esplicitato e di ottima funzionalità per il trasporto e il consumo.

Un caso che ha stupito per design e funzionalità è stato il Ristorante Giovanni Rana: pack primario compostabile in vegware (crasi di vegatable e ware, stoviglie di verdure letteralmente) ovvero made from plants, coerente e attraente nell’estetica, sigillato senza aggiunta di materiale esterno, apertura facile con coperchio a scorrimento e richiudibile per una confezione funzionale. Per le pietanze ordinate da Give Me Veg è stato proposto un pack primario monomateriale in prevalenza carta FSC. Japs ha invece consegnato le due pietanze in due buste separate, inizialmente si è pensato a un caso di over packaging ma a ben vedere è stata accuratezza aver separato nel trasporto i piatti caldi da quelli freddi. Pack primario monomateriale in prevalenza carta, senza indicazioni di provenienza, con segni utili alla riduzione dei volumi.

La Capitale ha piacevolmente colpito per l’attenzione comunicativa delle operazioni sociali e di tutela ambientale. Nel caso di Maybu sulla busta in carta viene esplicitato sul dorso "protect your world, #noplastic" come claim aziendale. Pack primario misto (carta e vegware) facilmente separabile e di ottima tenuta, anche per la bibita. Il piccolo e delizioso ristorante di cucina siciliana CusCus ha utilizzato un pack primario compostabile ed efficiente, consegnato posate compostabili in numero non eccedente, ma soprattutto al momento dell’ordine ha evidenziato di appoggiarsi a una piattaforma di delivery etico e rispettoso per i lavoratori e per l’utilizzo di scooter elettrici, Giusta Delivery. Un caso analogo alle empanadas testate a Milano è stato Trapizzino che ha ideato una scatola su misura adatta a mantenere in posizione i triangoli di pizza riccamente farciti. Monomateriale carta, non certificata, efficiente per il trasporto e il mantenimento della temperatura.

Scendendo in Campania ci si accorge di una forbice fra chi interpreta il delivery come reale opportunità e chi solo come servizio al cliente nel fornire il pasto, senza aggiungere però accortezze in tema di prevenzione e/o comunicazione. Questo ultimo particolare è emerso in una netta parte dei testati nel campione che hanno impiegato soluzioni impattanti per l’ambiente o denotavano trascuratezza o improvvisazione. Caso virtuoso per la comunicazione è stato rilevato in Sea Front Pasta Bar, nonostante il pack secondario in carta con cordoncini per maniglie e chiusura con adesivo in plastica, il packaging primario monomateriale ha denotato una certa cura nell'ideazione della confezione.

Le criticità, sulle quali ci soffermeremo meno perché lo scopo dell’indagine erano le virtù che possano ispirare e segnare la via delle buone pratiche, ci sono state in misura e forma diversa. A Milano si è incontrata una consegna con busta di plastica ad avvolgere il pack secondario in carta. A Torino l’ombra si è trovata in una consegna effettuata con busta in plastica riciclata e pack primario in vaschette di alluminio, il che potrebbe anche non essere un problema, laddove queste non fossero, come erano, poi singolarmente incartate da pellicola alimentare; posate in plastica, nessuna indicazione sui conferimenti e nessuna cura estetica hanno fatto il resto. Ciò che a Roma ha lasciato stupiti è stato un caso di commistione di materiali fra coperchi in PET1, ciotole in carta senza indicazioni sulla provenienza dei materiali, contenitori per le salse in vegware. Napoli ha lasciato alcune perplessità per alcune soluzioni di packaging che sono sembrate poco ragionate, se non improvvisate.

Nicola Robecchi, all’occasione consulente per Milano e già co-fondatore di Wilden Herbals, ha sintetizzato l’esperienza ponendo l’accento su alcuni aspetti più imprenditoriali: “Per me, come gastronomo, è stato un momento per rendermi conto di quanto tutto ciò che ruota intorno al packaging non sia scontato. Quello che emerge è quanto fare innovazione sui packaging richieda investimento da parte delle aziende, dei ristoranti, e un cambiamento nell’ordine delle priorità". 

Quello che ci si augura, a termine di questa indagine, è che il Decreto legislativo 116 del 2020, prorogato al 1° gennaio 2022, con il quale l’Italia recepisce la direttiva europea in merito all’etichettatura degli imballaggi, renda le indicazioni e le informazioni riportate sui packaging chiare, leggibili, esaustive e accessibili. “Gli imballaggi al consumo avranno l’obbligo di indicare il materiale di provenienza con relativi codici e riportare le indicazioni per il corretto conferimento, fatte salve scorte di magazzino". A questo si dovrà aggiungere una maggiore consapevolezza e attenzione nei consumatori affinché lo smaltimento avvenga nel modo idoneo. 

Come abbiamo indagato il packaging primario e secondario nei food delivery? Con l’obiettivo di indagare quanto i diversi packaging siano sostenibili ci siamo posti domande e abbiamo fissato dei criteri di valutazione cui sottoporre gli ordini ricevuti prima e dopo la consumazione, ma anche in fase di ordinazione. Insieme a Lorenzo Bono (responsabile ricerca e sviluppo Comieco), Federica Brumen (project manager della stessa area) e Annalisa Sivieri (account manager di Pollenzo), è stato redatto un modello di valutazione che tenesse conto di sostenibilità, funzionalità, capacità di attrazione, comunicazione e impatto sociale/coevoluzione. Per descrivere le realtà ci siamo basati su quattro città campione: Milano, Torino, Roma e Napoli. In ognuna di queste un consulente cittadino appartenente alla rete Alumni, ex studenti dell’Università, ha proposto (e sono stati poi selezionati) dieci delivery, partecipando poi alle attività di test e valutazione. In particolare a Milano Nicola Robecchi, a Torino Roberta Rainero, a Roma Alberto Costantini e a Napoli Mauro Avyno. Gli ordini sono stati effettuati secondo le indicazioni riportate online, senza svelare in alcun caso il fine degli ordini, recapitati in realtà diverse fra loro, consumati senza che nulla andasse sprecato e valutati nella sequenza di consegna.