Formula 1 e motore Wankel, un matrimonio mai nato

2022-09-10 04:57:23 By : Mr. Kevin Ye

Libere scelte dei tecnici motoristi e imposizioni regolamentari. Sono queste le due principali pedine che determinano le caratteristiche tecniche delle vetture da competizione e i tanti compromessi che esse richiedono.

Si ritiene sempre che la Formula 1 abbia incarnato, e continui ad incarnare, l’essenza della massima ricerca tecnologica applicata alle auto da competizioni. Una affermazione solo in parte veritiera.

Per quanto riguarda i motori, infatti, la Formula 1 può esibire un curriculum un po’ più spoglio rispetto ad altri mondi, ad iniziare dall’Endurance e, più in generale, dal poliedrico scenario delle competizioni a ruote coperte. Si tratta di sottigliezze ma, analizzando la storia e l’evoluzione dei motori di F1, emerge lampante un dato: in F1 non è mai esistita una vettura azionata da un motore Wankel.

Quali, allora, le motivazioni di tale “mancanza”? Ed ecco, dunque, che ci allacciamo all’incipit del nostro articolo: libere scelte dei tecnici motoristi e imposizioni regolamentari. 

Le libere scelte dei tecnici motoristi fanno parte del gioco. Anzi, in linea di principio, dovrebbero prevalere sulle imposizioni e sui paletti regolamentari. Libere scelte, appunto: anche in epoche caratterizzate da una marcata libertà regolamentare e di progetto in fatto di motori, il Wankel non è mai stato seriamente preso in considerazione.

Si tratta, infatti, di una tecnologia assai giovane: concepito dal tedesco Felix Heinrich Wankel, l’omonimo propulsore (detto anche rotativo: all’interno dello statore — ossia, la camera ove avvengono le fasi di aspirazione, compressione, combustione e scarico — ruota un rotore dalla particolare forma di triangolo di Reuleaux) trova per la prima volta applicazione a bordo di una vettura nel 1963, grazie alla NSU.

Una tecnologia, pertanto, che i tecnici motoristi non prendono in esame, se non per sporadiche applicazioni nel ramo delle automobili di produzione. È in Giappone che il motore Wankel ha trovato fortuna. La Mazda, come noto, ha fatto del Wankel un autentico marchio di fabbrica. Sin dalla fine degli Anni ’60, la Casa nipponica ha intrapreso una lunga avventura nel motorsport internazionale, schierando auto spinte da unità a “stantuffo rotante” o “lobi rotanti” (anche Turbo).

Numerosi i modelli Mazda che hanno scritto la storia del motorismo internazionale: dalla R100 M10A alla RX-3, dalla S102 alla RX-2, dalla M12A alla RX-5, dalla mitologica RX-7 (modello a lungo preparato e sfruttato per i più disparati regolamenti, specie IMSA) alla 323, dalla Capella alla meteora Mazda GTP di classe IMSA GTP (Rosemont) e portata in gara dal Z&W Enterprises/Motorsport, dalla 717C (Mooncraft) di classe C Junior alla 727C (Mooncraft) di classe C2, dalla 737C (Mooncraft) di classe C2 alla 757 di classe IMSA GTP, dalle 767 e 767B di classe IMSA GTP alla MX-6 anch’essa preparata per la classe IMSA GTU, dalla 787 di classe IMSA GTP e FIA Cat.2 alla mitica 787B di classe FIA Cat.2. E ancora, vale la pena menzionare la bellissima Mazda RX-792P —Prototipo di classe IMSA GTP allestita da Crawford-Fabcar — e la RX-8 GT, grande e recente protagonista del campionato Grand-Am.

Modelli Mazda e non solo. Un esempio per tutti: la Lola T616-Mazda 13B Racing 2R 1308cc del BFGoodrich Company, Prototipo che, condotto da Yoshimi Katayama/John Morton/John O’Steen, ottiene un brillante 10° posto assoluto e primo di classe C2 alla 24 Ore di Le Mans 1984.

Apice dell’impegno sportivo di Mazda con vetture spinte da unità Wankel rimane, senza dubbio, la vittoria assoluta alla 24 Ore di Le Mans del 1991. A trionfare, in quell’occasione, è la Mazda 787B (telaio #002) #55 Mazdaspeed di classe Cat.2 condotta da Volker Weidler/Johnny Herbert/Bertrand Gachot. L’equipaggio ultima 362 giri, coprendo 4922,810 km alla media di 205,333 km/h. A completamento di una prestazione di squadra maiuscola, il 6° posto assoluto della 787B (telaio #001) condotta da David Kennedy/Stefan Johansson/Maurizio Sandro Sala e l’8° posto assoluto della “vecchia” Mazda 787 (telaio #002) ottenuto da Takashi Yorino/Yojiro Terada/Pierre Dieudonné. Foto: Paolo Pellegrini

La prestazione della Mazda, in quella edizione della corsa sul tracciato della Sarthe, si dimostra eccellente. Solo in parte ha giocato a favore del Prototipo giapponese il “balance” tecnico. La 787B, infatti, ha potuto beneficiare di un peso minimo inferiore rispetto alle altre Cat.2: 880 kg per la Mazda, 1000 kg per tutte le altre Cat.2 (ad iniziare dalle Sauber-Mercedes C11, a lungo in testa alla corsa, e Jaguar XJR-12 LM). Per tutte le Cat.2, ad ogni modo, il consumo di carburante a Le Mans non deve eccedere i 2550 litri.

Al fianco delle Cat.2, ossia le “vecchie” Gruppo C, il Regolamento contempla anche le nuove e discusse Cat.1, azionate da motori aspirati di 3500cc di cilindrata e dal peso minimo pari a 750 kg. Non competitive, tuttavia, per le zone alte della classifica assoluta le vetture Cat.1 al via: Spice, ROC, ALD e soprattutto le Peugeot 905 Peugeot Talbot Sport, sì veloci ma affatto affidabili (ritirate, infatti, dopo le primissime battute di gara).

Cuore della Mazda 787B — vettura progettata da Nigel Stroud — è il suo motore. Si tratta di un Wankel a 4 rotori, denominato R26B. La cilindrata unitaria di ciascuna camera è di 654cc, così da ottenere una cilindrata totale pari a 2616cc. Le misure di eccentricità, raggio e larghezza sono pari a 15 mm x 105 mm x 80 mm. Il rapporto di compressione è di 10:1, la potenza massima è esorbitante e si attesta attorno ai 700 CV a 9000 giri/minuto, la coppia massima è dell’ordine dei 61,9 kgm (equivalenti a 608 Nm) a 6500 giri/minuto. L’aspirazione si avvale di 4 collettori telescopici ad altezza variabile (l’altezza varia in base al regime di rotazione del motore). Presenti tre candele per ciascun gruppo statore-rotore, così da ottimizzare ancor di più qualità della combustione e consumi di carburante.

In precedenza, il Wankel Mazda presentava solo due candele, poste parallelamente in corrispondenza della zona “rettilinea” dello statore. Una soluzione, però, che realizzava una combustione incompleta: in un’area della camera, infatti, rimaneva miscela incombusta. L’aggiunta della terza candela ha risolto questo problema.

Rotore e statore sono rivestiti in carburo di cromo; presenti, ai vertici del rotore, guarnizioni ceramiche in due pezzi. Accorgimenti utili a ridurre attriti e, soprattutto, ad ottimizzare la tenuta dei gas tra rotore e statore, proverbiale punto dolente dei motori rotativi. Gli iniettori si trovano immediatamente a monte della luce di aspirazione: la Mazda denomina questa soluzione “peripheral port injection”. Anche in questo caso, la soluzione è intesa al miglioramento di qualità della combustione e consumi.

Nella fattispecie, il Mazda R26B è il classico motore Wankel con statore a profilo epitrocoide. Questo profilo è dato dalla traiettoria descritta dai vertici (tre, nel caso di rotore a forma di triangolo di Reuleaux) nel suo moto planetario; questo profilo è costituito da un numero N di archi, 2 nel caso dell’epitrocoide dei Wankel Mazda.

Ma attenzione: equilibrare motori Wankel e motori alternativi 4 Tempi non è semplice. Il calcolo della cilindrata dei Wankel richiede, anzitutto, particolari calcoli. Il volume di ogni camera durante il moto rototraslatorio del rotore, infatti, varia ciclicamente da un massimo a un minimo. Un tot. numero di camere, a tal proposito, è delimitato dai vertici del rotore all’interno dello statore. Pertanto, la differenza dei suddetti due volumi (massimo e minimo) determina la cilindrata unitaria della camera.

In Formula 1, come detto, il Wankel non è mai sbocciato. Eppure, per tanti anni, i regolamenti tecnici non vietavano questo tipo di motore. Regolamenti così aperti che, nel 1971, la Lotus gioca la carta del motore a turbina, schierando il modello 56B. La vettura prende parte a soli 3 GP, condotta da Walker Dave (Olanda), Reine Wisell (Gran Bretagna) ed Emerson Fittipaldi (Italia). A spingere la bella monoposto, un motore a getto realizzato dalla Pratt & Whitney.

Ancora nel 1978, il regolamento tecnico F1 contempla simili motori. “I motori a turbina saranno ammessi in base alla seguente formula di equivalenza: S= C x 0,09625/(3,10 x T) – 7,63“. Una formula in cui S è la sezione di passaggio dell’aria all’uscita delle palette dello statore (o del 1° stadio, in caso di statore a più stadi), C è la cilindrata dei motori alternativi a pistoni, T è il tasso di pressione.

Sin dai primi Anni ’80, le maglie regolamentari si serrano. Ed ecco che, prendendo in esame il regolamento F1 1988, possiamo leggere che: “the Wankel, Diesel, 2-stroke and turbines are forbidden“. Sono ammessi, in sostanza, solo motori alternativi 4 Tempi con pistoni e cilindri a sezione circolare (“the normal section of each cylinder must be circular“). Ed è così che il Wankel ha potuto proseguire la propria carriera sportiva altrove, ma non in F1.

Nel 1992, il Wankel ottiene un altro primato. Steve Hislop porta al successo, nel Senior TT, la Norton NRS 588, moto azionata da un birotore Wankel di 588cc, in grado di erogare oltre 135 CV a 9800 giri/minuto. Il peso a secco della moto di soli 135 kg: un capolavoro. Un risultato prestazionale a dir poco eccezionale. In quella memorabile edizione, Steve Hislop piega la tenace resistenza di Carl Fogarty, in sella alla Yamaha FZR 750R OW01 sponsorizzata Loctite.

La Mazda fa dei suoi Wankel un segno distintivo. Tuttavia, anche il mondo dell’Endurance e dei Prototipi chiude le porte al Wankel. Una porta che, finalmente, si riaprirà grazie al nuovo regolamento “WEC-Hypercar” (World Endurance Championship), vetture che potranno essere azionate anche da motori rotativi. Il regolamento ACO-FIA, alla definizione 1.33, afferma: “Rotary engine: Engine of the type covered by the NSU Wankel patents“. Una notizia che fa ben sperare e che solletica appassionati e addetti ai lavori.

Quali, allora, le principali peculiarità che rendono unici i motori Wankel? Come abbiamo già scritto, il particolare “aspetto” del motore stesso: organi meccanici ed un funzionamento che, appunto, rendono unico questo propulsore. A tal riguardo, si ricorda che una rotazione completa del rotore sul proprio asse corrisponde a 3 giri dell’albero motore. Durante una rotazione del rotore si realizza, su ogni lato del rotore stesso, un ciclo completo a 4 Tempi.

Ogni singola fase del ciclo si compie con una rotazione dell’albero motore di 270° (180° per i motori alternativi a 4 Tempi). Si verifica una accensione ogni giro dell’albero, caratteristica che ritroviamo nei motori a 2 Tempi. Anche la camera di combustione presenta singolarità. Essa, infatti, è costituita da due parti: una di volume costante sulla superficie periferica di ciascun lato del rotore, un’altra a volume variabile compresa tra la suddetta superficie e la superficie dell’epitrocoide che si affaccia ad essa durante la combustione. Il rapporto di compressione è determinato e stabilito in base alla parte di camera a volume costante.

Un’altra caratteristica che avvicina il Wankel al 2 Tempi è la assenza delle valvole di aspirazione e scarico. Il Wankel, come il 2 Tempi, presenta luci di aspirazione e scarico praticate — in punti ben precisi — sulle pareti dello statore.

Molteplici, dunque, le caratteristiche tecniche positive del Wankel. Anzitutto, la capacità di erogare elevate potenze ad elevati regimi di rotazione. Come abbiamo visto, il Mazda R26B di appena 2616cc erogava potenze (calmierate dai tecnici Mazda al fine di non intaccare l’affidabilità e non sforare i vincoli di consumo) dell’ordine dei 700 CV a 9000 giri/minuto. I Prototipi Cat.2 di pari epoca si attestavano su valori similari o persino superiori. Tuttavia, parliamo di motori aspirati plurifrazionati e di grande cubatura o di turbocompressi plurifrazionati di cilindrata superiore al quadrirotore giapponese. La Jaguar XJR-12 (V12 di 60°, aspirato, 7000cc) erogava oltre 730 CV a 7000 giri/minuto, la Sauber-Mercedes C11 faceva affidamento su un V8 di 90° biturbo di 5000cc erogante anch’esso oltre 730 CV a 7000 giri/minuto, la Porsche 962C (flat 6 biturbo di 3164cc) si attestava sugli oltre 750 CV a 8200 giri/minuto in gara.

Altri punti a favore del Wankel risiedono nelle contenute dimensioni del motore (e quindi minor peso), nel numero ridotto di organi in movimento, nel favorevole rapporto peso/potenza, nella scarsità di vibrazioni (in ogni caso, l’albero motore necessita di contrappesi) nell’ottimo e costante rendimento volumetrico.

Per contro, non mancano le criticità, quali, ad esempio un maggior consumo di olio, un rendimento meccanico non ottimale (con conseguente aumento del consumo specifico), scarsa e non costante tenuta dei gas fra rotore e statore (rischio di miscela incombusta), usura di rotore e statore, condizioni “estreme” di lavoro per le candele rispetto ai motori alternativi a 4 Tempi (frequenza della scintilla: poiché il lavoro che si compie in una camera con tre giri di albero motore si ripete, al tempo stesso e con spostamento di fase, all’interno degli altri statori, abbiamo una accensione ad ogni giro di albero motore), raffreddamento e lubrificazione più critici (criticità che riscontriamo anche sui 2 Tempi).

Il Wankel potrà fare la propria apparizione anche in Formula 1? È auspicabile ma, per assistere a questo evento epocale per la celebre categoria, occorre — scontato dirlo — modificare in modo profondo i regolamenti tecnici. In una F1 ideale, infatti, occorrerebbe contemplare tutti i tipi di motore endotermici, Wankel compresi.

Al momento, per godere dell’inconfondibile strillo del Wankel, occorre ammirare le glorie del passato — dal vivo o in video — e sperare che il regolamento WEC-Hypercar venga abbracciato da quanti più costruttori e motoristi possibili.

Rivedremo, alla 24 Ore di Le Mans, una vettura spinta da un motore Wankel? Assisteremo alla nascita della prima monoposto di F1 a motore rotativo?

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